Separazione, figli con la mamma, tempi contati, nessuna quotidianità: storie ordinarie di padri che perdono la famiglia. Una, intensa e commovente, ce la racconta Vito Bruno ne “L’amore alla fine dell’amore. Una lettera dalla parte dei padri” Per una volta donne e mamme, provate a mettervi tutte dalla loro parte, operazione difficile e scomoda, ma onesta, e cercate di capire come evitare – almeno per il bene dei figli – le guerre davanti ai giudici nel momento degli addii.
E come non privarli del bene prezioso di un rapporto continuo col papà, anche da separati.

Quando una famiglia si sgretola – marito e moglie si separano – i figli restano sempre (o quasi) nel domicilio coniugale con la mamma. Punto. Anche se il papà è il più amorevole dei padri e la mamma ha un altro uomo. È così che decidono i giudici, basandosi sull’imprescindibilità della figura materna nella crescita del bambino. E il magistrato procede in questo solco già segnato dalla consuetudine senza neppure guardare in faccia i coniugi, alla prima udienza di separazione. Contro questa insindacabile tradizione si scaglia il nuovo libro di Vito Bruno L’amore alla fine dell’amore. Una lettera dalla parte dei padri (Elliot edizioni), la storia vera di un padre che si vede costretto ad abbandonare la propria casa e soprattutto che si trova a essere suo malgrado separato dal proprio figlio adorato. Una lettera intensa, struggente, dolorosa e al tempo stesso piena d’amore a quella che ora sta per diventare la sua ex moglie, l’amore per lei (che ha vent’anni meno di lui) dopo sei anni intensi passati insieme, e per il bimbo, che – a neanche due anni – non ha ancora parola in ciò che sta accadendo tra i genitori.
Un libro in cui non manca il racconto dei momenti felici, rivissuti attraverso il ricordo: il protagonista rievoca le stagioni del loro innamoramento, la nascita del figlio, la scoperta del ruolo di padre e quindi la brusca fine della storia d’amore (quel “Non ti amo più” pronunciato dalla moglie così, come una pugnalata gelida nella schiena, all’improvviso e senza alcun appello), l’allontanamento forzato dalle due persone che ama di più al mondo, sua moglie e suo figlio.

Una lettera, la sua, intima e personale ma anche generale e universale, perché come dice il sottotitolo del libro, si tratta di Una lettera dalla parte dei padri, che esprime la rabbia e l’amarezza di tanti uomini – ma che parla anche alle donne – che da quelle angoscianti vicissitudini ci sono passati e ogni giorno combattono tra le pieghe delle leggi, contro ex mogli diventate spesso nemiche che ostacolano i rapporti con il proprio figlio o cercano di evitarne sempre più i contatti. Spesso senza una ragione. Lasciando i padri con un senso di vuoto improvviso difficile da colmare. E che porta a condurre lunghe battaglie legali dai risultati spesso già scritti, ovvero a loro sfavorevoli.
Un tema caldo, questo, spettro di sempre più padri, considerato che secondo i dati diffusi a dicembre dall’Ami (Associazione matrimonialisti italiani) le separazioni in Italia in un anno si aggirano intorno alle 160mila e i divorzi intorno ai centomila . Una lunga schiera di famiglie infrante che si incontrano in tribunale davanti al giudice a decidere del destino dei propri figli con armi spesso troppo affilate, ma non di rado per alcuni del tutto spuntate. 

In un tratto commovente del libro si legge: Per tutto quel mese, non avevo fatto altro che occuparmi di lui, giorno e notte, senza un attimo di noia, senza alcuna fatica, anche se la sera crollavamo tutti e due morti di stanchezza sui rispettivi lettini. Mi ero così abituato alla sua presenza al mio fianco che era diventato impossibile immaginarmi senza di lui. Figuriamoci immaginare qualcuno che deliberatamente volesse portarmelo via, separare un padre da un figlio: la cosa più assurda e innaturale del mondo. E invece, proprio questo stava accadendo adesso. E per mano non di uno sconosciuto, ma della donna che ho amato di più al mondo….
Dubbi e domande si affacciano alle coscienze anche delle donne quando ci si trova davanti a storie come queste. E di storie così ne è piena la società. In caso di divorzio, infatti, secondo la sentenza emessa dal giudice, in linea di massima è sempre il padre che deve uscire di casa , pagare il mantenimento, più le spese accessorie e avere sempre i minuti contati per vedere e frequentare i propri figli. Ma molti padri si chiedono se alla luce della rivoluzione culturale che ha interessato l’identità femminile nella nostra società (la donna spesso lavora ed è autonoma economicamente), è così automatico che a occuparsi dei figli sia per forza la madre, e soprattutto quanto sia giusto limitare i contatti tra i padri e i figli, che troppo di frequente vengono usati come strumenti per guerre tutte adulte piene di rancori. Faide che non di rado terminano con ex mariti che escono dalla propria casa e dovendo pagare il mantenimento della ex famiglia oltre a un nuovo appartamento faticano a mantenersi a galla. Tutto ciò anche quando la decisione di separarsi ricade tutta della donna. Questo è il caso dell’autore che vuole, in questo modo, solo porre la questione all’attenzione anche dell’universo femminile per indurlo a una riflessione seria e non aprioristica o di parte sul tema. 

Tagliente, su questo aspetto, il libro nella parte in cui l’autore chiede alla moglie come pensa di mantenersi in seguito alla separazione e le si rivolge brutalmente: «Che farai la puttana?». E lei risponde secca: «Anche se facessi la puttana, la legge è dalla mia parte. Ti butto fuori di casa e non ti faccio vedere più mio figlio». Erano prove tecniche di manipolazione, le tue. Avevi una pistola puntata alla mia tempia e potevi fare quello che volevi. Potevi decidere tranquillamente non solo del tuo destino, ma anche di mio figlio e soprattutto del destino di nostro figlio. Tre persone in pugno di cui disporre a tuo piacimento: da far perdere la testa a chiunque. E poi si chiede, ancora: Far sparire dall’oggi al domani un uomo dal proprio orizzonte domestico per buttarlo in qualche posto anonimo, fuori dalla sua storia e dalle sue coordinate esistenziali, lontano dall’affetto dei figli, vuol dire tutelare i figli? Vedere una madre amoreggiare con un altro uomo, profanare quello che fino al giorno prima era stato un talamo coniugale, vuol dire tutelare i figli?

Ecco perché alla fine tende la mano e chiede il dialogo, quello che evita le guerre, almeno per il bene del bambino. Dobbiamo intenderci un’ultima volta, come quando mi amavi, o toccherà farci la guerra – una guerra insensata in cui perderemo tutti, non solo io, amore mio.

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