Non si può certo dire che oggi la decisione di fare un figlio in Italia la si prenda alla leggera. I figli costano. Tempo e denaro. Eppure la capacità previsionale delle coppie giovani e meno giovani si ferma alla nascita e ai primi due o tre anni. Pochi vanno oltre.
La maggior parte dei genitori che abbiamo intervistato e che ha ancora figli in età prescolare è impallidita sentendo le spese che li attendono. Tutti i neogenitori concordano che dopo la nascita della creatura gli stipendi vengono alleggeriti da nuovi costi pari al 15% circa.

Tutti gli intervistati asseriscono che questi costi aumentino con la crescita fino a raggiungere il 25/30% della disponibilità mensile della coppia nell’età in cui un figlio costa più caro: dai 12 ai 16 anni.

Ma nessuno immagina che in Italia mantenere un figlio fino ai 18 anni di età costi alla fine come e più di un mutuo: 310mila euro di media. Esclusi l’acquisto di una casa più grande, le assicurazioni sulla vita, i risparmi che eventualmente si mettono da parte per quando il figlio sarà grande e i consumi di acqua, luce, gas che una persona in più in casa produce. Inclusi invece l’acquisto di una o due, negli anni, auto più grandi; la benzina consumata per scarrozzare il pargolo ai corsi di danza, in palestra o semplicemente a scuola; l’esplosione esponenziale dello scontrino della spesa al supermarket, specialmente dopo i 6 anni, quando spot, compagni di scuola e golosità si impongono sul bambino più mite e lo fanno urlare a squarciagola alla vista di una merenda dal nome impronunciabile o dopo i 12 anni, quando mode, primi amori e tv trasformano le ragazzine in aspiranti pin up che necessitano di balsamo, creme, smalti, lucidalabbra. E quelli della mamma o della sorella più grande vengono più o meno cordialmente rifiutati.

L’unico momento in cui un figlio costa poco è nei primi quattro o cinque mesi, quando e se si nutre del latte materno e non fa che dormire. Sempre che goda di ottima salute e abbia un plotone di parenti e amici disposti a prestare o regalare il necessario per lo start up dell’azienda-figlio: lettino, passeggino, fasciatoio, biancheria, vestitini. Strapparsi dal lavoro per l’accudimento dei primi mesi pesa economicamente e psicologicamente, soprattutto per chi ha un lavoro precario, ma i veri dolori al portafoglio arrivano dopo lo svezzamento e nei successivi cinque o sei anni: il nido e/o la tata, le pappe e le merende a colazione, pranzo e cena, il dentista che fa capolino con lo spauracchio dell’apparecchio, le vacanze (specie per i figli metropolitani, che «vanno tenuti il più possibile lontano dalle città inquinate» dicono in coro i genitori di città intervistati) e i gusti personali che si affermano.

fonte: papaseparati.org
articolo di Stefania Vitulli