I nonni non possono agire nel giudizio di separazione per regolare il loro diritto di visita con i nipoti. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 28902 del 27 dicembre 2011, ha spiegato come la legge sull’affido condiviso tuteli solo di fatto i rapporti fra nonni e nipoti, non prevedendo un’azione diretta degli ascendenti e degli altri familiari per regolare le visite con i bambini. 
Insomma gli anziani «non sono titolari di una posizione soggettiva direttamente tutelabile». Ciò perché, spiega la prima sezione civile, le norme classe 2006, «nel prevedere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale, affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata, ma non incide sulla natura e sull’oggetto dei giudizi di separazione e di divorzio e sulle posizioni e i diritti delle parti in essi coinvolti, e non consente per tanto di ravvisare diritti relativi all’oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo che possano legittimare un intervento dei nonni o di altri familiari, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., ovvero un interesse degli stessi a sostenere le ragioni di una delle parti, idoneo a fondare un intervento “ad adiuvandum”, ai sensi dell’art. 105, comma secondo, cod. proc. civ». 
In altri termini la nuova legge non contiene alcun riferimento alla «posizione soggettiva degli ascendenti e degli altri parenti». Il loro interesse «indiretto», di natura morale o affettiva, affinché sia realizzato il diritto dei minori a conservare quei rapporti di natura familiare certamente indispensabili sul piano psicologico «non ottiene, quindi, una valorizzazione tale da farlo assurgere a posizione soggettiva direttamente tutelabile, e quindi in alcun modo è ipotizzabile un intervento principale o litisconsortile». 
Cioè, si legge nell’ultimo passaggio della sentenza, «in assenza di un dato normativo che autorizzi un’iniziativa sul piano giudiziario degli ascendenti, come avviene nei giudizi “de potestate” (art.336, c. 1., c.c.), non è consentito l’intervento degli stessi nei giudizi di separazione e di divorzio, nei quali la posizione dei minori è tutelata sotto forme – ritenute legittime anche dal giudice delle leggi – che non prevedono la loro assunzione della qualità di parte, né uno specifico diritto di difesa, come avviene nei procedimenti di adozione».
Fonte: www.cassazione.net
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