Bologna, 16 ottobre 2011 – «È giusto così». Sergio Berghi, il papà del piccolo Devid, è lapidario nel commentare la notizia che un’assistente sociale del Santo Stefano è indagata per la morte del figlio, morto di freddo a soli 23 giorni. 
Signor Berghi, i servizi sociali hanno delle colpe nella tragedia? 
«In tutto questo tempo i giornali hanno incolpato solo noi, me e la mia compagna. Finalmente ora viene fuori la verità. Nella morte di mio figlio noi abbiamo certamente una piccola parte di colpa, ma anche i servizi sociali hanno la loro parte». 
Voi siete accusati di omicidio colposo. L’assistente sociale di non aver impedito l’evento. Per i magistrati avrebbe dovuto togliervi i figli per proteggerli. «Infatti era proprio quello che i servizi volevano fare, loro sono molto veloci a togliere i bambini. Non ci hanno dato alcun aiuto, prima della tragedia. La verità è che se ne sono fregati. E subito dopo che Devid è morto, quando l’avevamo appena messo nella bara, ci hanno tolto gli altri due, il gemellino Kevin e l’altra figlia di un anno e mezzo, che non è figlia mia ma per me è come se lo fosse». 
Perché non avete chiesto aiuto ai servizi sociali, ma anzi vi siete sottratti ai loro controlli? 
«Avevamo chiesto un aiuto ad ottobre, ma non era successo niente. La mia compagna è andata ai servizi l’ultima volta a inizio dicembre, pochi giorni prima del parto. Loro in seguito hanno detto che non sapevano fosse incinta, ma non è vero. Non ci hanno aiutati e, dopo la nascita di Devid, avevamo paura che ci togliessero i bambini. Alla mia compagna avevano già tolto due figli, anni fa. Per questo non siamo andati ai servizi e abbiamo evitato i contatti. Se invece di pensare solo a toglierci i bambini ci avessero dato una mano, noi ci saremmo andati. Eccome». 
Sì, ma in quei giorni il clima era gelido e il piccolo Devid stava in strada o in Sala Borsa. Non era meglio chiedere comunque aiuto? «Non è vero che stavamo in strada, avevamo una casa. E in Sala Borsa ci andavamo solo qualche ora al giorno per far giocare i bambini, che erano ben vestiti. Purtroppo Devid era evidentemente più debole, ci sono bambini che soffrono il freddo più degli altri. Per me andava tenuto di più in ospedale, dopo il parto. Io e Claudia pensiamo a lui continuamente, appena posso vado a trovarlo e sto con lui». 

Ora la sua compagna è in comunità con gli altri due bambini… «Sì, io vado a trovarli due volte alla settimana e sto con loro tre ore in tutto. Stanno bene. Le cose, piano piano, si stanno risolvendo. Ma non è facile, anche perché gli aiuti promessi non sono arrivati. Il commissario Cancellieri ci aveva promesso una casa dell’Acer, ma non ce l’hanno data. Io ho un alloggio in zona Tribunale per cui pago un affitto alto. Non sempre riesco a farvi fronte. Per fortuna mi hanno dato una borsa lavoro in un supermercato, guadagno 460 euro al mese e spero, in futuro, di avere anche una casa popolare». 

Come vedete il vostro futuro?
«Io e la mia compagna speriamo di vivere come una famiglia normale. Speriamo di uscire presto scagionati da questa tragedia. Spero che loro escano dalla comunità e che possiamo vivere tutti assieme, nella nostra casa, con i nostri figli. Vogliamo lasciarci il dolore alle spalle, ricominciare a vivere una vita normale. Certo, seguiti dai servizi sociali. So che non potrà essere che così. Per noi sarà sempre così».
di GILBERTO DONDI