Rimini, ma il luogo non conta nel moderno mondo globalizzato, quattro
teen agers ne seviziano un altro, nella “cattedrale” della
omologazione: il centro commerciale! La piazza, il “foro” del terzo
millennio: un luogo pieno di telecamere che non hanno ripreso nulla e di
gente che non ha visto niente (o quasi).
In una “montiana”
(all’aggettivo “montiana” potete dare il significato che
preferite…triste, recessiva, grigia..quello che volete) domenica di
Dicembre, la vicenda finisce in televisione, la vicenda diviene un
fatto, il fatto scandalo e lo scandalo, pagina di giornale. 
Eppure
i teen agers si picchiano tutti i giorni per i più disparati motivi,
non può essere questa “la notizia”. Deve trattarsi d’altro e sta a
vedere che la notizia
consiste nel fatto che ad agire la violenza siano state quattro ragazze
ed un ragazzo. Gli esperti si affollano a dire che la violenza
giovanile, il mobbing, il bullismo sono fenomeni indici di un contesto
sociale de-valorizzato (ci sono volute due generazioni ma ce l’abbiamo
fatta!) in cui il modello vincente è “lo stronzo”, pardon…”il furbo”
come si dice ora, appartenenti tanto ai maschi quanto alle femmine.
Sappiamo bene che è così: lo sa chiunque cammini per le vie di una città
(però non si può dire..shhhh! shhhh!) e allora continuiamo a parlare di
violenza come di un fatto di genere e non come di un fatto sociale. La
violenza è un mezzo (sbagliato) funzionale ad uno scopo (altrettanto
sbagliato) la prevaricazione di qualcuno su qualcun altro; essa è in
grado di permeare qualunque contesto, dalla scuola al lavoro, dalle
amicizie allo sport passando attraverso le relazioni affettive fino ad
arrivare nei centri commerciali, anche senza i saldi. Il rispetto
dell’altro si è ritirato dalla società come il mare dalla costa,
restituendoci l’onda anomala della violenza. Il vuoto va riempito; il
vuoto della cultura, della fede, dei valori civili che non ci sono più, e
la violenza è un “filler” universale perfetto, anche meglio del
silicone! La violenza però è anche un business come lo sono o finiscono
per divenire, tutti gli eventi in un era (questa più che mai) governata
da interessi e convenienze economiche in cerca di coperture
idealistiche. La guerra è un business, salvo per chi sta sotto le bombe;
i terremoti perfino sono un business, salvo per chi sta sotto le
macerie; perché non la violenza dunque? Perché ciò avvenga è necessaria
una asimmetria nella percezione della giustizia: non ha importanza che
sia reale o quanto sia reale: conta la percezione che esista una vittima
che coincida con il buono ma debole e che esista un carnefice
ovviamente cattivo e forte. L’essere umano è una creatura semplice per
cui, come insegnano le discipline manichee (in cui il bene sta tutto da
una parte ed il male tutto dall’altra) se diciamo che la violenza è un
fatto di genere e chi la agisce appartiene sempre e solo ad un genere e
chi la subisce all’altro, il gioco è fatto e tutto quello che
sperimenteremo di differente e contrastante da questa “percezione”, a
salvaguardia della nostra sanità mentale, sarà ricondotto nel novero
delle eccezioni anche se è di regola che si tratta. Le cause della
violenza sono l’ignoranza, la prevaricazione fisica, psicologica, morale
e l’indifferenza: il genere è il fumoso traghetto che trasporta i
soldi.