La moglie affidataria dei figli che occupa l’appartamento di proprietà comune prima della formale assegnazione non deve versare alcun canone di locazione al marito: il pagamento di un corrispettivo, infatti, snaturerebbe la funzione dell’istituto in quanto incompatibile con la sua finalità esclusiva di tutela della prole.
Lo ha chiarito la terza sezione civile della Corte d’appello di Roma con la sentenza 5264/12 che ha respinto il ricorso di un marito nei confronti della moglie. L’uomo ha sostenuto che il tribunale non avrebbe dovuto esonerare la donna dal pagamento dell’indennità di occupazione dell’immobile comune solo perché era stato obbligato a corrisponderle il mantenimento per le figlie il cui importo era stato diminuito in considerazione dell’occupazione della casa comune da parte della moglie unitamente alle bambine.
La moglie, a sua volta, ha contestato la domanda del marito affermando che la richiesta di versamento dell’indennità di occupazione avrebbe potuto eventualmente riguardare solo il futuro, nell’ipotesi in cui le fosse stato riconosciuto un assegno di mantenimento comprensivo del contributo del padre al pagamento di un canone di locazione per una dimora adeguata alle minori; fino ad allora il riconoscimento di una indennità costituirebbe solo un ingiusto arricchimento.
La Corte d’appello, nel decidere la vertenza, ha stabilito che, pur non avendo la moglie dato alcuna dimostrazione di quali siano stati i provvedimenti emessi nella causa di separazione relativamente all’immobile, l’appartamento in comunione doveva comunque essere considerato dimora familiare in quanto in concreto adibito da uno dei comproprietari a dimora sua e della prole a lei affidata. 
In materia di separazione e divorzio, ha proseguito il collegio, l’articolo 155-quater del Cc, facendo riferimento all’interesse dei figli, conferma che il godimento della casa familiare è finalizzato alla tutela della prole in genere e non più al solo affidamento dei figli minori; ne consegue che l’occupazione della casa comune da parte della moglie, unitamente alle figlie minorenni, non può essere considerata priva di significato nei riguardi della pretesa meramente patrimoniale del coniuge separato (comproprietario) «che pretenda che tra le due parti in causa l’immobile venga considerato unicamente come bene in comunione con le conseguenti obbligazioni a carico di chi dei due abbia goduto in modo esclusivo del bene». 
L’avere fatto uso esclusivo dell’immobile già prima dell’inizio della causa di separazione adibendolo a casa per lei e la prole nata dal matrimonio con l’altro comproprietario, giustifica pertanto la posizione della donna che chiede venga mantenuta la tutela della prole assicurata anche con l’utilizzo gratuito dell’appartamento di comune proprietà. 
Una volta che sia dimostrato che l’immobile comune è stato adibito a residenza della prole dei due comproprietari, ha concluso la Corte, il genitore che ne ha usufruito in via 
esclusiva, anche senza un provvedimento formale di assegnazione del giudice, non può essere considerato indebito fruitore dei frutti civili ricavabili dal bene comune e non è, di conseguenza, tenuto a versare all’altro alcun canone di locazione od occupazione.
Fonte: www.cassazione.net