“Siamo diventati nonni giovani”, detto dai genitori del presunto papà, può essere una prova in favore della dichiarazione giudiziale di paternità.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 9727 del 23 aprile 2010, ha respinto il ricorso di un uomo presentato contro la dichiarazione giudiziale di paternità.
In particolare lui aveva negato la relazione con la madre del bambino e si era rifiutato di sottoporsi al test del Dna ma davanti a una testimone i suoi genitori, avevano dichiarato, “siamo diventati nonni giovani”. I giudici di merito avevano pronunciato la dichiarazione di paternità proprio sulla base di questi elementi. Contro la decisione l’uomo ha fatto ricorso in Cassazione ma senza successo.
La prima sezione civile lo ha respinto facendo applicazione di un principio generale secondo cui il giudice può valutare molte prove al fine di stabilire se effettivamente ci sono stati rapporti sessuali fra i genitori del bambino. Una di queste è il rifiuto del test ematico, l’altra è, nel caso sottoposto all’esame della Corte, la dichiarazione dei nonni.
In proposito in sentenza si legge che “l’articolo 269 del codice civile, nella sua attuale formulazione, non pone alcun limite in ordine ai mezzi attraverso i quali può essere dimostrata la paternità. Sicchè il giudice di merito, dotato di ampio potere discrezionale al riguardo, può legittimamente fondare il proprio convincimento sulla effettiva sussistenza di un rapporto di filiazione anche su risultanze istruttorie dotate di valore puramente indiziario, quale il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ai test ematologici, che costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c. , anche in assenza di prova specifica di rapporti sessuali tra le parti. Infatti, proprio la mancanza di prove oggettive assolutamente certe e difficilmente acquisibili circa l’effettivo concepimento ad opera del preteso genitore naturale, se non consente di fondare la dichiarazione di paternità sulla sola dichiarazione della madre, non esclude che il giudice possa desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti – ed in particolare dal rifiuto del preteso padre di sottoporsi al test del dna – traendo la dimostrazione della fondatezza della domanda esclusivamente dalla condotta processuale del preteso padre, globalmente considerata e posta in opportuna correlazione con quanto affermato dalla madre”.
Fonte: www.cassazione.net
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