Qualche settimana fa abbiamo affrontato un argomento giuridico di particolare attualità e cioè l’affidamento condiviso nella separazione dei coniugi. In quella occasione, dopo aver parlato molto genericamente delle motivazioni che il più delle volte, sfociano nella separazione dei coniugi, abbiamo scritto che il nostro ordinamento giuridico prevede due forme di separazione: la separazione consensuale e quella giudiziale, alle quali si aggiunge la separazione di fatto.
Nella separazione consensuale importanza fondamentale assumono l’accordo coniugale e la sua omologazione, accompagnati da una intensa attività procedurale sia delle parti che del Giudice.
Nella separazione giudiziale, ruolo fondamentale riveste la evidenziazione della giusta causa di separazione al fine, anche, di comprendere i motivi della intollerabilità della convivenza ed il danno all’educazione della prole, indicati come presupposti dall’articolo 151 del codice civile.
Come già accennato, spesso le separazione hanno due punti cruciali di discussione, l’affidamento dei figli e le questioni economiche e patrimoniali.
Queste ultime settimane hanno visto la pronuncia di due provvedimenti giurisdizionali che hanno trovato ampio spazio nei quotidiani.
Una prima sentenza è stata emessa dalla Corte di Cassazione appena due settimane addietro ed ha fissato un principio che per la verità era implicitamente riconosciuto dalla società.
Si trattava di una coppia che alcuni anni addietro aveva vissuto una prima separazione di fatto poiché la moglie aveva abbandonato la casa coniugale per scappare con un giovane personal training.
Dopo qualche settimana, però, la stessa, spentosi il fuoco della passione e tornata alla cruda realtà, era ritornata dal marito ed aveva ripreso la regolare vita coniugale.
Da parte sua, il marito aveva perdonato la scappatella della propria moglie e quindi, l’aveva accolta.
Ma come spesso accade in questi casi le incrostazioni di un matrimonio che ha esaurito il suo spirito di amorosa convivenza, tendono ad emergere per cui i coniugi, a distanza di tempo, avevano deciso di separarsi.
In questo caso il marito, con l’obiettivo di ottenere l’addebito di colpa ai danni della moglie nel tentativo di sottrarsi alla concessione di un assegno di mantenimento in favore della stessa, aveva addotto, come motivazione a fondamento della separazione, che la moglie, circa sei anni addietro, aveva commesso adulterio ed era scappata di casa con un altro uomo e così chiedeva l’addebito della separazione e quindi una decisione che lo esentasse dal versamento dell’assegno di mantenimento.
La Corte di Cassazione rigettava la richiesta del marito motivando che avendo lo stesso perdonato la scappatella della moglie a suo tempo rientrata nella casa coniugale e, quindi, ripresa la convivenza coniugale, non poteva, a distanza di sei anni invocare, quale motivazione della separazione, quella stessa scappatella che egli aveva perdonato.
Ed effettivamente, al di là delle ragioni emotive, la decisione della Suprema Corte ritengo sia puntuale e giusta perché ammettere un principio contrario significherebbe consentire il riemergere e soprattutto l’utilizzare motivazioni, di fatto superate, a propria convenienza.
Il secondo provvedimento che ha assunto rilievo nella stampa della settimana scorsa è invece una ordinanza emessa dal Tribunale di Nicosia quale provvedimento provvisorio in tema di separazione dei coniugi.
In particolare due coniugi che vivono da separati in casa decidono di separarsi legalmente ed il marito, nel tentativo di ottenere l’affidamento esclusivo dei figli, invoca la separazione per colpa della donna, sostenendo l’infedeltà della moglie poiché la stessa avrebbe una relazione con un’altra donna.
Il Tribunale di Nicosia seguendo il principio generale dell’interesse precipuo dei minori soprattutto quando questi siano particolarmente piccoli ha stabilito che pur essendo affidati ad entrambi i coniugi i minori dimorino presso la madre.
La decisione ha suscitato un vespaio di commenti pro e contro la decisione assunta dal Tribunale di Nicosia ed in particolare sulla motivazione del provvedimento che oltre a fondarsi sulla mancanza di prove circa la presunta relazione omosessuale della donna che è stata negata dalla stessa, argomenta affermando che il Giudicante ha solo applicato il principio consolidato secondo il quale l’omosessualità non è sinonimo di inadeguatezza genitoriale o ragione per non applicare la regola dell’affidamento condiviso.
La discussione che ne è scaturita si fonda sulla capacità di un genitore omosessuale di crescere in maniera sana i propri figli.
Statisticamente l’associazione avvocati matrimonialisti italiani ha affermato che l’11% delle separazioni giudiziali è causata da tradimenti a sfondo omosessuale del partner.
E anche la posizione dei vari Tribunali d’Italia è contraddittoria in quanto alcuni Giudici ritengono che l’omosessualità non è sinonimo di inadeguatezza genitoriale mentre altri Tribunali hanno orientamenti diversi e tendono a disporre perizie psicologiche dei genitori tendenti ad accertare la capacità degli stessi a crescere in modo sano e moralmente integro i propri figli.
Credo che l’argomento sarà oggetto di ancora lunghe discussioni nei mesi a seguire perché la società civile è profondamente divisa circa la capacità genitoriale degli omosessuali.
Sempre in riferimento all’argomento in oggetto in questi giorni ho ricevuto una telefonata di un lettore della provincia di Ragusa che aveva letto il precedente articolo sull’affido condiviso e mi chiedeva se in caso di separazione dalla moglie poteva continuare a vivere nello stesso edificio avendo in esso due distinti appartamenti.
In particolare mi riferiva di essere proprietario, in comunione con la propria moglie, di una villetta indipendente composta da un piano e una mansarda, distintamente registrate all’agenzia del territorio e aventi due ingressi indipendenti. In virtù di ciò e del fatto che i coniugi avevano deciso di separarsi e in ragione del fatto che, avendo tre figli minori ai quali voleva restare vicino, mi chiedeva se era possibile potere dividere con la propria moglie i due appartamenti.
La risposta non può che collegarsi a quanto già affermato nell’articolo precedente laddove affermavo che la soluzione più civile in caso di separazione, anche e soprattutto nell’interesse dei figli, è quella della separazione consensuale dove i coniugi possono decidere ciò che è meglio nell’interesse dei propri figli.
In ogni caso mi permetto di suggerire, al lettore che mi ha chiamato telefonicamente ma anche a tutti coloro che si trovano in una simile situazione, una sentenza della Corte di Cassazione di recente emissione la quale ha fissato il principio che “in tema di separazione personale dei coniugi, l’assegnazione della casa coniugale di preferenza al coniuge cui vengono affidati i figli è espressione di un potere discrezionale del giudice, il quale può pertanto limitare l’assegnazione a quella parte della casa familiare realmente occorrente ai bisogni delle persone conviventi nella famiglia, tenendo conto, nello stabilire le concrete modalità dell’assegnazione, delle esigenze di vita dell’altro coniuge e delle possibilità di godimento separato e autonomo dell’immobile anche attraverso modesti accorgimenti o piccoli lavori (Cass. Civ. sez. I 17/12/2009 nr. 26586)”.
Se ciò è possibile per un unico appartamento a maggior ragione tale principio è applicabile nel caso di una villetta che abbia due appartamenti con ingresso indipendente che quindi non necessità di lavori di separazione.

Cordialmente
Avv. Giuseppe Aiello aielloavvgiuseppe@libero.it
http://www.lavalledeitempli.net/2011/01/02/l%E2%80%99opinione-dell%E2%80%99avvocato-separazione-e-affido-parte-ii/