Giustizia anno-zero: si rischia il collasso a causa della legge Pinto che indennizza le vittime della cause-lumaca. Nel 2008 è stato pari a circa 81 milioni di euro la somma che lo Stato italiano è stato condannato a pagare in indennizzi per l’eccessiva durata di processi. Di questa enorme cifra, ben 36 milioni e mezzo di euro «non risultano pagati malgrado l’esecutività del titolo».
A lanciare l’allarme sulla cifra impressionante dei risarcimenti per la giustizia troppo lenta è il procuratore generale della Suprema corte, Vitaliano Esposito, nella relazione per la cerimonia dell’apertura dell’anno giudiziario 2011.
«Lo Stato – denuncia Esposito – preferisce pagare invece che risolvere la problematica dell’esorbitante durata dei processi ma, per di più, non è neppure in grado di adempiere a tali obblighi di pagamento. Cosa poco consona per un Paese che fa parte della elitaria cerchia del G20». Non finisce qui: «È oramai sotto gli occhi di tutti – prosegue il pg della Suprema corte – come la situazione quasi fallimentare della giustizia e dei suoi tempi si stia trasformando in una situazione che si può definire quasi di insolvenza per lo Stato». L’Italia risulta inadempiente rispetto ai principi del giusto-processo: «E ciò ha portato di recente la Corte di Strasburgo a parlare, senza mezzi termini, di defaillance dello Stato italiano, tale da minacciare perfino i meccanismi di applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
Al 21 dicembre scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo «ha constatato in 475 casi la violazione della convenzione europea da parte dello Stato italiano per i ritardi nella corresponsione dell’indennizzo liquidato dalle Corti d’appello».
Anche l’organizzazione della macchina giudiziaria finisce nel mirino del procuratore Esposito: «Negli uffici giudiziari – scrive – già da alcuni anni serpeggia un tangibile malcontento derivante dalla mancata riqualificazione e progressione di carriera del personale che nuoce alla serenità del lavoro».
Una nota positiva? I processi di informatizzazione avviati da alcuni anni che «hanno raggiunto in molti casi ragguardevoli risultati nel segno della continuità e della maggiore efficienza dei servizi».
Poi il pg apre il capitolo dei “processi” ai giudici: nel 2010 sono stati sottoposti a procedimento disciplinare il 19,48 per cento dei magistrati in servizio, il 75 per cento degli incolpati esercita le funzioni giudicanti e oltre il 40 per cento esercita le funzioni nel Sud del Paese. Per cinque magistrati sono state richieste, e accolte, le misure cautelari. Per 89 magistrati (pari al 47 per cento) è stata chiesta l’emissione del decreto di citazione a giudizio; per 90 (pari al 47 per cento dei casi), è stato richiesto non farsi luogo a dibattimento e per i rimanenti 11 togati sottoposti a procedimento disciplinare sono «intervenute altre cause di definizione».
Nel corso del 2010 sono arrivate 1.382 notizie di possibile rilevanza disciplinare, con una flessione del 2,19 per cento rispetto al 2009 (573 esposti provengono da privati). Le procedure definite sono state 1.387, erano 1.725 nel 2009. La contrazione è pari a circa il 20 per cento.
Infine il monito di Esposto: i magistrati italiani hanno il dovere del «riserbo» al quale «non sempre si attengono, senza rendersi probabilmente conto che una notizia o un giudizio da loro riferita o espresso, data la funzione svolta, assumono una rilevanza del tutto diversa da quelli provenienti dalla generalità dei cittadini».
Fonte: www.cassazione.net