da: www.cassazione.net – LUNEDI’ 08 NOVEMBRE 2010

La forma e la misura del mantenimento secondo la legge 54/2006
Necessario un nuovo intervento legislativo
di: Marino Maglietta

La recente pronuncia di cassazione in merito al mantenimento dei figli di genitori separati (22502/2010) conferma la necessità e l’urgenza di un nuovo intervento legislativo che elimini definitivamente la possibilità di interpretazioni, per quanto scarsamente plausibili, in totale contraddizione con l’attuale dettato normativo. Vi si legge infatti che: “nella determinazione del contributo previsto dall’art. 277 cod. civ., in tema di mantenimento dei figli … , la regola dell’affidamento condiviso a entrambi i genitori ai sensi dell’art. 155 cod. civ. … non implica deroga al principio secondo il quale ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni dei figli in misura proporzionale al suo reddito. In applicazione di essa, pertanto, il giudice deve disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico che, in caso di collocamento prevalente presso un genitore, va posto a carico del genitore non collocatario, prevedendone lo stesso art. 155 la determinazione in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore”. È dunque evidente che, mentre la prima affermazione coincide incontestabilmente con la norma, la seconda, passando disinvoltamente da una considerazione sulla misura del contributo ad un’altra sulla sua forma e legandole, impropriamente, con un “ pertanto”, si colloca antiteticamente alla ratio legis dell’affidamento condiviso poiché va a negare al figlio il suo diritto a ricevere cura, e non soldi, da entrambi i genitori, compiendo al tempo stesso un evidente errore logico-giuridico, ove si rammenti la formulazione del comma 4 dell’articolo 155:
“… ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: … “

I concetti di forma e di misura del mantenimento sono dunque ben separati ed è indiscutibile che il legislatore privilegia la forma diretta, lasciando al contributo mediante assegno una mera funzione integrativa nell’ipotesi in cui la contribuzione diretta non rispetti la proporzione suddetta. In altre parole, i parametri, tra cui il tempo, che il legislatore elenca per quantificare l’entità dell’assegno entrano in gioco soltanto dopo che se ne è verificata la necessità. Non è la differenza dei tempi della frequentazione a determinare la necessità di un assegno, ma di essa si tiene conto nel caso in cui per altri motivi l’assegno si sia reso necessario. La ragione è evidente: il genitore che passa meno tempo con il figlio può benissimo compensare le minori spese legate alla convivenza con la maggiore pesantezza di quelle esterne (affitto, abbigliamento, istruzione, mensa, salute, svaghi, sport, mezzi di trasporto, ecc.; non è un problema).
In sostanza, in materia di affidamento condiviso si ha spesso l’impressione di un problema culturale della Suprema Corte, di una difficoltà ad accogliere i nuovi principi che la conduce a decisioni per le quali sembra che la conclusione preceda la motivazione, ossia che l’estensore, orientato pregiudizialmente verso un certo punto di arrivo, ne cerchi poi la giustificazione in un modo qualsiasi, a scapito di fondamentali regole della logica giuridica. Ne possono dare ulteriore dimostrazione nel caso in esame le citazioni invocate “a sostegno” della propria tesi. Cassazione 23630/2009 si limita a ricordare i parametri per l’entità dell’assegno, ove questo sia necessario, ma non discute se e quando lo è. Lo fa invece Cass. 23411/2009 affermando sul piano della legittimità – aldilà di non pertinenti considerazioni di opportunità – che: “l’assegno per il figlio” può essere disposto “in subordine, essendo preminente il principio del mantenimento diretto da parte di ciascun genitore”. Non poteva esserci smentita più convincente.