Pubblichiamo con qualche giorno di ritardo la lucida riflessione dell’amico Salvatore Garofalo.

La ragione dei pochi e il pensiero collettivo

Da qualche settimana ho preferito rimanere in silenzio. Ho scelto di stare a guardare gli eventi senza proferire parola. Ho studiato tutte le possibili dinamiche sociali, cercando con serenità di osservarle da un altro punto di vista, da un altra angolatura.Mi sono immerso in altri modelli di pensiero per percepire la “ragione dei pochi” che si oppone al pensiero della collettività. Ho letto e riletto i documenti che nel frattempo giungevano sul mio tavolo di lavoro, ho ascoltato le lamentele e le paure di nuovi utenti, ho rispolverato le vecchie carte. Insomma, ho posto me stesso al di là del guado, e questa meravigliosa esperienza ha confermato quello che già sapevamo, ossia che il comune sentire della collettività è profondamente diverso dal sentire di pochi. La collettività, e non il potere dei pochi, è il vero garante dei minori, in quanto essa vive la quotidianità della vita. Chi giudica, viceversa, sembra vivere al di fuori di qualunque contesto sociale. Chi giudica non si rende conto che qualche pagina di una sentenza non può disciplinare la vita delle persone, che sono strutture umane complesse dotate di pensiero e sentimenti, in perpetua evoluzione individuale ed inserite in un sistema sociale. L’unico risultato che la prassi può garantire al minore è quello di sfamarlo. Tutto il resto, tutte le altre decisioni lo danneggiano ed esasperano gli animi dei genitori. La soluzione è proprio lì, alla portata di tutti: basterebbe applicare poche regole di buon senso (permanenza dei figli presso ciascun genitore in misura pressocchè paritetica, mantenimento diretto, doppio domicilio) ed intimare i “contendenti” a rispettare i compiti genitoriali (pena pesanti sanzioni) per risolvere una buona metà dei casi di conflitto. Se così facessero, i magistrati, come d’incanto, risolverebbero tutto in prima udienza. Invece no. Nonostante l’evidenza – chiarissima alla gente comune – si deve necessariamente mettere in moto una macchina complessa, costosa, priva di senso, buona a tenere acceso il conflitto per alcuni anni. Da qualche tempo ravviso che la gente ha paura ad andare in tribunale per chiedere la separazione coniugale. Siamo arrivati al punto che le persone hanno timore a rivolgersi ad una istituzione di garanzia. La gente ha paura di perdere tutto: figli, affetti, casa, denaro, averi, pensione e dignità. Ci sono utenti che non si separano per la paura di perdere la propria vita di cittadini onesti e trovarsi invischiati in mille rivoli dall’esito incerto e dal fare perverso. Si corre il rischio che una banale separazione diventi un calvario interminabile. Persino le consensuali possono trasformarsi in una lotta infinita e senza esclusione di colpi quando un giudice decide per sue personali teorie e convinzioni diversamente da quanto pattuito con intelligenza tra le parti. La cosa che più lascia frastornati è il fatto che la gente comune ha timore del tribunale. I questo, siamo arrivati all’assurdo. Percepire la sfiducia verso l’organo giudicante mette in crisi l’intera collettività, e la giustizia viene sempre più sentita come un male da cui tenersi a debita distanza. Per non parlare della politica. Adesso c’è chi sale sui tetti e stringe mani ai disperati per poi dimenticarsi di tutti. Nessuno di loro, prima di adesso, è andato a stringere il cuore dei tanti padri e madri disperati, oltraggiati, offesi e lesi nella loro dignità. Nessuno di loro ha fatto visita a quei padri che mangiano un piatto di minestra nei centri di accoglienza dopo che un tribunale della Repubblica li ha spogliati di tutto (nell’interesse del minore). Sono sempre pronti a qualunque promessa. Dicono tutti che nessun figlio resterà senza padre e nessun genitore senza l’amore della prole, ma sappiamo sulla nostra pelle che sono solo parole. Ma qualcosa è cambiato, e questa volta chi ha seminato solo illusioni non troverà la porta aperta quando verrà a bussare alla porta di tanti disperati, resi tali anche dalla loro inconcludenza. Facciamo in modo che le nostre porte siano ben serrate nel momento del “giudizio”, così come i nostri bambini trovano i loro cuori chiusi e le loro menti lontane. Un paese che fa piangere e disperare i suoi figli non merita di far parte del mondo civile ed evoluto.
Fonte: Redazione Adiantum