Chi trasferisce la sua guerra privata nelle aule di giustizia deve essere pronto a pagare un prezzo. Che può essere molto alto se scatta la lite temeraria, dopo la riforma del processo civile che ha introdotto una pena pecuniaria per chi abusa dello strumento processuale e fa soltanto perdere tempo ai giudici (e alla collettività). È quanto emerge dalla sentenza 98/2011 della prima sezione civile del tribunale di Varese.
Moglie e marito si separano e ogni ragione è buona per continuare la battaglia a colpi di carta bollata: sono quattro in due anni i procedimenti instaurati nel Tribunale che li vedono contrapposti, anche in veste di amministratori di società.
Stavolta materia del contendere è l’opposizione a un decreto ingiuntivo: l’ingiunta deve riconsegnare all’ex marito un impianto di proprietà di quest’ultimo in quanto oggetto di un contratto di comodato senza termine (e come tale suscettibile di scioglimento ad nutum). Ma per dispetto non lo fa, pur sapendo di aver torto.
È evidente che l’opposizione all’ingiunzione non solo è infondata ma è pure connotata da colpa: scatta allora la condanna alla pena pecuniaria prevista dal terzo comma dell’articolo 96 Cpc, così come introdotta dalla legge 69/2009. Chi abusa del processo danneggia non solo l’altro litigante, perché ritarda l’accertamento della verità, ma inflaziona anche – e senza motivo – il sistema-Giustizia, che è già lento di per sé (mentre i processi-lumaca, confermano le Sezioni unite, mettono in ginocchio l’economia).
Insomma: la riforma del processo civile ha introdotto una norma meramente sanzionatoria per tutelare la funzionalità del sistema, che si risolve in una pena pecuniaria da applicare d’ufficio.La signora, dunque, pagherà 10 mila euro solo per aver scomodato i magistrati senza ragione.
Fonte: www.cassazione.net
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