L’assegno di divorzio può essere ridotto in relazione allo scarso apporto dato dal coniuge “libertino” alla gestione familiare durante il matrimonio.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza numero 28892 del 27 dicembre 2011, ha respinto il ricorso di una trentottenne che rivendicava un più alto assegno
divorzile.
La prima sezione civile, in linea con la Corte d’appello di Bologna, ha osservato che la spettanza dell’assegno, liquidato nella misura di soli 200,00 euro, è stata decisa “in ragione del comportamento e della condotta di vita tenuti incontestatamente” dalla donna durante il matrimonio, caratterizzati da vita libera e disordinata, abitudine a frequentare locali notturni, abuso di sostanze alcoliche e psicofarmaci.
Nella specie Piazza Cavour ha ribadito che “in tema di scioglimento del matrimonio e nella disciplina dettata dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, una volta stabilita la spettanza in astratto dell’assegno
divorzile, per non essere il coniuge richiedente in grado, per ragioni oggettive, di mantenere il tenore di vita matrimoniale, così come previamente accertato, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5 (ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o a quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma
considerabile in astratto”.
Fonte: www.cassazione.net
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