Il decreto legislativo 154/2013 sull’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi
Alcune novità interessanti e altre pericolosamente forzate

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Perugia, 10 febbraio 2014- Di Simone Pillon, avvocato cassazionista, mediatore familiare, consigliere nazionale del Forum delle Associazioni familiari

E’ notizia di qualche giorno fa l’entrata in vigore del decreto legislativo sulla modifica della legislazione in tema di filiazione. L’anno scorso entrò in vigore la legge-delega 219/2012 che tracciava le linee guida della equiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio con il regime di quelli legittimi e affidava al governo l’adeguamento delle norme alla nuova prospettiva.
In un anno di tempo la commissione governativa, denominata “Commissione Bianca”, ha ottemperato alla delega ricevuta, facendo sottoscrivere al Presidente Napolitano il 30 dicembre scorso il testo del decreto legislativo 154/2013 di cui stiamo occupandoci. La prima impressione è quella di un testo-omnibus in cui si è colta l’occasione della delega legislativa per mettere mano ad una pesante riforma dell’affido condiviso. Il tutto sottraendo al dibattito pubblico la legittimazione a scegliere priorità ed eventuali modifiche al sistema in vigore fino ad oggi. Vediamo nel prosieguo di individuare le più importanti novità.

La assistenza morale della prole diventa obbligatoria per i genitori

La normativa appena entrata in vigore modifica l’art. 147 del Codice Civile introducendo tra i doveri dei genitori anche quello della “assistenza morale” per la prole, analogamente a quella già prevista in favore dell’altro coniuge. Sembra una norma scontata e stupisce quasi che il legislatore abbia avvertito l’esigenza di annoverarla tra i doveri espliciti dei genitori ma evidentemente era il caso di farlo. Ora quindi i genitori che faranno mancare alla prole la loro assistenza morale, limitandosi magari a pagare l’assegno di mantenimento ma disinteressandosi della vita dei loro figli, potranno essere richiamati ai loro doveri e financo resi oggetto di richiesta di risarcimento del danno.


L’audizione del minore nel processo diviene facoltativa

Un’altra novità introdotta dal governo con questo decreto è la rimozione dell’obbligo di audizione del minore nel processo di separazione dei genitori. Fino ad oggi la norma ne prevedeva l’obbligatorietà e tale indiscriminata previsione in presenza di genitori in mala fede si traduceva in una insopportabile pressione in capo al minore, che veniva trascinato in una vicenda più grande di lui e non certo priva di conseguenze sotto il profilo emotivo e psicologico.
La nuova norma dunque ci trova sostanzialmente d’accordo in quanto pur mantenendo la generica previsione dell’obbligo di audire il minore, come previsto dalle più importanti normative sovranazionali, consente anche al giudice di omettere l’audizione quando – con provvedimento motivato – la valuti come superflua o contraria all’interesse del minore stesso. LE modalità di audizione ci lasciano invece insoddisfatti: il minore infatti dovrebbe essere sentito in un luogo diverso dal Tribunale e l’audizione dovrebbe essere
sempre videoregistrata, senza far uso del previsto “verbale riassuntivo” foriero di sbrigative semplificazioni. E’ un diritto del minore essere sentito, ma in alcuni casi è un suo diritto anche non essere sentito e questa norma ha il pregio di riconoscerli entrambi…

La “potestà genitoriale” viene sostituita dalla “responsabilità genitoriale”

Più preoccupante è la decisione del governo di eliminare la potestà genitoriale. L’ultimo riferimento alla autorità (auctor: colui che è il tuo autore…) che spetta per natura ai genitori sui loro figli è stato soppresso senza fornire alcuna ragione giuridica o pedagogica o sociologica da parte della “commissione Bianco”. Tale modus operandi non può non destare qualche preoccupazione: resta infatti da capire come si riuscirà a riempire di significato il concetto di responsabilità genitoriale, che più che alla autorità richiama più ad un dover rendere conto a terzi delle proprie decisioni in materia di genitorialità. Non vorremmo che dietro a questa apparentemente innocente modifica semantica si nascondesse l’ennesimo tentativo di espropriare i genitori del loro diritto-dovere di educare i figli. Chi deciderà se le scelte dei genitori saranno state responsabili oppure no? In fondo in tal modo si è voluto ridurre al silenzio l’ultima delle potestà private, assegnate alla famiglia, per ricondurla al già fin troppo soffocante controllo da parte della pubblica autorità, ed in particolare, come vedremo, di quella giudiziaria. Il delegittimato potere pubblico vuole delegittimare il legittimo potere privato, e questo non è mai un buon segno.
Unico aspetto positivo la previsione contenuta nel novellato art. 317 codice civile secondo cui la responsabilità genitoriale continua anche dopo la separazione dei genitori. E’ un po’ triste che la divisione della coppia venga quasi data per scontata, ma tant’è….
Grava sui genitori l’onere di ricorrere al giudice per le decisioni riguardanti la prole

Ecco – come si diceva prima – il corollario della soppressione della potestà genitoriale: se i genitori sono esautorati, chi decide? Ovviamente il giudice… Tutte le decisioni per cui i genitori non troveranno un accordo sono demandate al giudice… Questa norma, introdotta con la modifica dell’art. 316 del Codice Civile è pericolosa e contraria alla natura delle relazioni familiari. Non pare infatti un gesto sensato introdurre tale possibilità, tra l’altro liberamente percorribile non solo dalle coppie separate ma anche da quelle ancora unite. In primo luogo si introduce il principio di attribuire a terzi le decisioni endofamiliari, con conseguente ed evidente rischio che via via si tolga ogni autonomia alla famiglia. In secondo luogo, paradossalmente proprio dopo aver introdotto il principio di responsabilità genitoriale, si de-responsabilizza la coppia genitoriale attribuendo al giudice le funzioni più tipicamente familiari. In terzo luogo si sceglie la strada giudiziaria quando – al limite – si sarebbe ben potuto offrire alle coppie genitoriali in impasse una via di conciliazione mediante la mediazione familiare o il supporto alla genitorialità che avrebbe restituito ai due la libertà della decisione rimettendoli in grado di discernere il bene per la prole.

La residenza abituale del minore viene imposta dal giudice

Con l’istituto della “residenza abituale”, introdotto dal decreto legislativo di recente approvazione, la “commissione Bianco” mette in crisi le basi della legge 54/2006 sull’affido condiviso della prole. Infatti non è un mistero – per chi si occupi di politiche legislative familiari – che molte associazioni e realtà sociali stiano da tempo chiedendo una piena applicazione dell’affido condiviso. Non è un mistero neppure che tra le proposte in
campo ci sia – largamente condivisa – quella di giungere finalmente – in caso di separazione dei genitori – ad un doppio domicilio per la prole, cioè ad un affido “materialmente condiviso”. Stabilire – con un decreto legislativo – che spetta al giudice determinare la residenza abituale del minore qualora i genitori non trovino un accordo in tal senso è certamente un segnale molto forte nella direzione dell’affido esclusivo, o comunque del c.d. “genitore prevalente”, che il governo preferisce evidentemente alla joint custody, affossando in tal modo l’affido materialmente condiviso.
Anche la questione della casa coniugale viene affrontata e risolta stravolgendo la normativa in vigore: infatti con la nuova formulazione dell’art.337 sexies del Codice Civile sembra di poter ritenere che il Giudice, in caso di separazione, possa assegnare la casa familiare a uno dei due separandi a prescindere dall’esistenza o meno della prole…
Un bel passo indietro rispetto alla legge 54 che subordinava esplicitamente tale compressione del diritto di proprietà all’esistenza di diritti dei minori non diversamente tutelabili.
l’autonoma azione giudiziaria riconosciuta ai nonni rischia di moltiplicare il contenzioso

Il governo ha deciso, con l’art. 317 bis introdotto nel codice civile, di consentire ai nonni l’intervento in giudizio, con propria autonoma azione, per chiedere di veder garantiti congrui tempi di frequentazione coi nipoti. Questa norma, che viene incontro ad un’esigenza molto sentita specie in caso di crisi familiare, è tuttavia formulata in modo assai pericoloso in quanto non introduce alcun filtro preventivo di tale azione e costringe le parti, anche in questo caso, a giurisdizionalizzare il conflitto, oltretutto allargandolo ai nonni. Così com’è, la norma abilita i nonni a chiedere l’intervento del giudice, sindacando ancora una volta nelle questioni familiari e moltiplicando il contenzioso. La commissione Bianco sembra dimenticare che gran parte delle separazioni trova origine in un mancato affrancamento della nuova coppia genitoriale dalle rispettive famiglie di origine! Consentire ai nonni di “mettere l’avvocato” contro la nuora o il genero non pare dunque una soluzione adeguata ed anzi porterà certamente con sé la moltiplicazione dei conflitti.
Meglio sarebbe stato riconoscere con adeguata chiarezza il preciso diritto dei minori a ricevere cura ed educazione da parte dei nonni e prevedere idonei meccanismi extra- processuali per la sua tutela, magari mediante azioni di Alternative dispute resolution o di moral suasion, coinvolgendo in ogni caso anche i genitori nelle scelte dei nonni.
In compenso i nonni pagheranno molto caro tale diritto. Infatti il governo, evidentemente in cerca di un modo per alleggerire il carico dei servizi sociali, ha contemporaneamente deciso di introdurre l’art. 316 bis codice civile che introduce l’obbligo per i nonni di provvedere al mantenimento dei nipoti e abilita questi ultimi – in caso di mancata somministrazione dell’assegno – a promuovere immediata azione esecutiva! Non pare davvero un buon sistema quello di regolare i rapporti patrimoniali tra nonni e nipoti a colpi di decreti ingiuntivi…
L’abrogazione della disciplina sull’affido condiviso e la perdita della potestà genitoriale in capo al genitore non affidatario sono un deciso passo indietro sulla bi-genitorialità


Il governo, senza ascoltare nessuna delle forze sociali da anni impegnate sul tema, ha colto l’occasione e ha abrogato integralmente gli articoli da 155 bis a 155 sexies del codice civile, riformando pesantemente l’affido condiviso. E’ vero che il contenuto di tali norme è stato parzialmente recuperato in altri articoli del decreto legislativo ma la questione è comunque grave per due ordini di ragioni. In primo luogo nessuno, né tantomeno il parlamento, aveva delegato il governo a modificare le norme sull’affido condiviso. Inoltre se davvero c’era la volontà politica di metter mano alla normativa
sull’affidamento dei minori, perché agire d’autorità senza coinvolgere i numerosi stakeholder che da tempo si battono per un miglioramento della normativa? Dopo anni di battaglie per una piena realizzazione dell’affido condiviso le associazioni per la difesa dei diritti dei minori si trovano ora di fronte ad un clamoroso passo indietro, oltretutto senza poter individuare precisamente i veri responsabili di tale iniziativa. Come se ciò non bastasse, la nuova formulazione dell’art. 337 quater priva completamente il genitore non affidatario della “responsabilità genitoriale” violando in tal modo i più elementari principi di diritto costituzionale e sovranazionale in ordine al diritto alla bigenitorialità. Fino ad oggi infatti entrambi i genitori, anche in caso di affido esclusivo, mantenevano la potestà genitoriale sul minore e potevano perderla solo in caso di condotte gravemente pregiudizievoli per la prole. Da ora in poi invece basterà un affido esclusivo, magari dettato da semplici ragioni di ritorsione, per lasciare uno dei due privo di qualsiasi voce in capitolo. Ciò è di inaudita gravità.
L’azione del governo, specialmente in questo ambito, ha davvero le sembianze di un inaccettabile blitz, oltretutto portato con le sempre più frequenti modalità di delegittimazione del corpo sociale e delle rappresentanze politiche in favore di poteri burocratico-amministrativi privi di controllo democratico. L’affido condiviso risponde ad un preciso diritto dei minori di poter continuare a ricevere cura educazione e istruzione da papà e mamma anche dopo la separazione. Voler limitare la portata delle norme che faticosamente avevano cominciato a realizzare – se non altro nella previsione legislativa – il diritto alla bi-genitorialità (co-parenting) è stato un autentico eccesso di delega che si spera sia sanzionato quanto prima dalla Corte Costituzionale.

Gli ulteriori aspetti


Le rimanenti previsioni dell’articolato sono sostanzialmente condivisibili: il governo con esse si è limitato ad adeguare i testi vigenti adattandoli alla nuova definizione di “figli nati dentro e fuori il matrimonio”. Anche le modifiche in tema di diritto successorio sono da ritenersi adeguate alla normativa vigente, ammettendo i figli nati fuori dal matrimonio a partecipare integralmente all’eredità dei genitori. Interessante è anche la previsione dei diritti dei “nascituri”. Chissà non sia foriera dell’auspicabile riconoscimento della capacità giuridica in capo al “concepito”.

Conclusioni

La commissione Bianca ha dunque saputo fare un condivisibile lavoro nella parte tecnica e mentre ha operato inaccettabili stravolgimenti sulla parte giuridica relativa all’affido dei minori, per i quali – con la scusa della equiparazione – si è scelto di comprimere in modo generalizzato i criteri di bi-genitorialità e portando il nostro paese indietro di otto anni.
Si conferma inoltre che la coppia genitoriale, sia essa famiglia o convivenza di fatto, è sempre e comunque lasciata sola davanti alla crisi della relazione. Il vero modo di salvaguardare i diritti dei minori, di tutti i minori, sarebbe quello di aiutare i loro genitori a restare insieme. Gli strumenti ci sarebbero, come dimostrano numerose esperienze di conciliazione familiare e di tutoring per le coppie in crisi, ma la verità è che – in questo come in molti altri ambiti – si preferisce anteporre la libertà degli adulti alla serenità dei minori.